voluntary disclosure

La voluntary disclosure è una procedura attraverso la quale il governo desidera poter favorire il rientro dei capitali.

La voluntary disclosure è una normativa che si rivolge a tutti gli italiani che detengono all’estero delle attività non dichiarate al Fisco, e che desiderino “collaborare volontariamente” con l’Agenzia delle Entrate denunciando tali attività e, di conseguenza, regolarizzando la propria posizione pagando delle sanzioni in misura ridotta rispetto al caso in cui la violazione venisse contestata dall’amministrazione finanziaria italiana.
Tale procedura, quindi, consente non solo di regolarizzare eventuali infedeltà dichiarative connesse alle attività costituite o detenute all’estero, ma anche quelle che non abbiano alcuna connessione con tali attività estere.
In tutti i casi in cui i contribuenti non abbiano avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento o di procedimenti penali per violazione di norme tributarie, possono presentare la richiesta di collaborazione volontaria.
La richiesta potrà essere presentata fino al 30 settembre 2015 per le violazioni commesse fino al 30 settembre 2014.
È bene precisare che la richiesta deve riguardare tutti i periodi d’imposta per i quali, alla data di presentazione della stessa, non siano scaduti i termini per l’accertamento e per la contestazione delle violazioni degli obblighi dichiarativi in materia di monitoraggio fiscale. Perché la procedura possa perfezionarsi è necessario che i soggetti obbligati versino le somme dovute, senza avvalersi della compensazione prevista dall’articolo 17 del Decreto Legislativo n. 241/1997.
Il versamento potrà essere ripartito, su richiesta dell’autore della violazione, in tre rate mensili di pari importo.
La voluntary disclosure non prevede, a differenza dello scudo fiscale dove l’Agenzia delle Entrate non poteva disporre dei dati di coloro che avevano fruito dello strumento, l’anonimato; inoltre contrariamente allo scudo è previsto il pagamento delle imposte evase e di altre sanzioni (contrariamente al solo pagamento di sanzioni una tantum).
Ancora, nello scudo fiscale si applicavano solamente gli obblighi antiriciclaggio esclusi quelli di segnalazione delle operazioni sospette mentre, nella voluntary disclosure si applicano tutti gli obblighi antiriciclaggio, nessuno escluso. Infine, nello scudo le attività detenute all’estero potevano rimanere al di fuori dei confini italiani tramite una fiduciaria che fungeva da sostituto di imposta.
Stabilito quanto sopra, cerchiamo, rapidamente, di effettuare un ulteriore passo in avanti.
Complessivamente, fatte salve le valutazioni più specifiche, la voluntary disclosure conviene:
• a tutte quelle persone che hanno ereditato delle attività all’estero e non le hanno dichiarate,
• a coloro che hanno trasferito all’estero delle somme di denaro senza attestarle nella dichiarazione dei redditi.
Il rischio è che, senza un’autodenuncia volontaria da parte del contribuente, il soggetto detentore di attività non dichiarate all’estero possa finire nell’occhio degli ispettori, con ciò che ne consegue in termini di pagamento di sanzioni e imposte evase.

I VANTAGGI DEL VOLONTARY DISCLOSURE
Rispetto al condono la voluntary disclosure è sicuramente meno “generosa”, ma è pur sempre una utile scappatoia per regolarizzare le situazioni non idonee con il Fisco e chiudere, pertanto, la porta a possibili accertamenti ben più sgraditi.
Aderendo alla sanatoria fiscale si eviterà di finire in galera, dal momento che non saranno perseguibili i reati connessi, nemmeno quello di autoriciclaggio, che il governo ha esteso anche nel caso in cui i capitali vengano reimpiegati a fini personali (situazione che rappresenta la quasi totalità dei casi).
La voluntary discolure, quindi, neutralizza tutti i reati fiscali che sono stati commessi. Il contribuente che “si pente” e dichiara quando nascosto al fisco godrà anche di importanti sconti sulle sanzioni e sugli interessi (che, a seconda dei casi, possono arrivare fino a un quarto del minimo previsto).

SOGGETTI BENEFICIARI
L’articolo 5-quater del D.L. n. 167/1990, stabilisce che potranno accedere alla procedura per regolarizzare la propria posizione fiscale con riferimento agli asset illecitamente detenuti all’estero, tutti i soggetti destinatari degli obblighi di monitoraggio fiscale come indicati dall’articolo 4 del D.L. n. 167/1990, ovvero: persone fisiche, enti non commerciali e società semplici ed equiparate ai sensi dell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi.
Tali soggetti dovranno ricostruire e presentare al Fisco la storia dei propri asset detenuti all’estero relativa a 4 periodi di imposta (o 5, nel caso di omessa dichiarazione e, comunque, ai fini della regolarizzazione della propria posizione con riferimento al quadro RW). Detto termine può raddoppiare (8 o 10 anni) nel caso di patrimoni detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata, a meno che detti Paesi, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della norma, non stipulino con l’Italia un accordo bilaterale che consenta l’effettivo scambio di informazioni.

PROCEDURA E ASPETTI PREMIALI
La procedura di regolarizzazione si concluderà con il pagamento (imposte, sanzioni ed interessi) di quanto dovuto in un’unica rata o, al massimo, in tre rate mensili.
Gli aspetti premiali attengono ad una consistente riduzione delle sanzioni amministrative e, soprattutto, all’esclusione della punibilità per alcuni reati tributari previsti agli artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis e 10-ter del D.L. 74/2000.
Per i conti “pocket” (la cui media delle consistenze annue non abbia superato i 2 milioni di euro) è prevista, su richiesta, una procedura semplificata che in luogo del calcolo analitico di tutte le rendite finanziarie e delle aliquote applicabili ratione temporis, prevede una redditività forfetaria degli investimenti del 5% annuo, sulla quale applicare una imposta con aliquota del 27%.
La procedura di collaborazione volontaria è, nella sua attuale versione, molto complessa e, in alcuni casi anche molto onerosa, potendo arrivare ad erodere anche l’80 – 90% del patrimonio detenuto all’estero.
È evidente che tali costi e un tale grado di complessità, laddove dovessero rimanere invariati, potrebbero limitare il ricorso dei contribuenti a tale forma di regolarizzazione, vanificando, così, il pregevole sforzo del legislatore, di ricondurre i contribuenti italiani nel solco della legalità.
Molte sono le questioni rimaste ancora aperte sulle quali sarà necessaria una attenta riflessione:

1) da una semplificazione della documentazione da produrre, alla previsione di una prima fase di contradditorio, anonima, con l’UCIFI;
2) dal dimezzamento dei termini di accertamento per quei contribuenti che detengono i propri patrimoni in Paesi black list – che abbiano sottoscritto accordi OCSE sullo scambio di informazioni;
3) dalla concessione dei crediti per le imposte già pagate all’estero all’inclusione, tra le violazioni sanabili, delle imposte di donazione e successione.

Alessandro Badii
Studio Giuliano e Di Gravio

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